IL VIAGGIATORE E IL FLANEUR
IL VIAGGIATORE E IL FLANEUR
Articolo di filosofia.
Viene pubblicato per la prima volta in edizione italiana il saggio di Benjamin dedicato a Bachofen dal titolo Il viaggiatore solitario e il flâneur (a cura di Elisabetta Villari, Melangolo, Milano 1997). Il titolo del prezioso volumetto, incentrato sulla figura di Bachofen “viaggiatore” e storico del diritto, sottende un dialogo a distanza tra i due intellettuali, da cui emergono tratti della personalità di Benjamin stesso. Per un approfondimento del pensiero di Benjamin esce anche, in francese, Le caractère destructeur, Esthétique, théologie et politique chez Walter Benjamin (Aubier Philosophie, Paris 1997), saggio di Gérard Raulet, germanista e filosofo in cui si trova un’interessante reinterpretazione dell’evoluzione del pensiero del filosofo.
È con l’avvento del nazionalsocialismo nel ’33 che, come molti intellettuali ebreo-tedeschi, Benjamin critico e specialista di letteratura francese, lascia Berlino e va esule in Francia.
Nel ’34, a un anno dal suo arrivo a Parigi, Benjamin ha l’occasione di scrivere un saggio dedicato a J.J. Bachofen per la Nouvelle Revue Francaise, su proposta dell’allora direttore Jean Paulhan. Si presenta all’autore la possibilità di entrare in contatto con un ambiente culturale fino ad allora ostile. La redazione completa del testo avviene tra il gennaio e il febbraio del ’35 ed è il suo primo lavoro scritto completamente in francese. Il saggio però viene rifiutato e riapparirà solo nel ’54 sulla rivista Les Lettres Nouvelles e nel ’91 in un volume di Ecrits Français.
Il testo in questione è la ponderosa opera di Bachofen Das Mutterecht cioè il Matriarcato, comparsa la prima volta nel 1861, in cui l’autore teorizza forme di vita ginecocratiche risalenti a un periodo di civiltà più antico di quello corrispondente al sistema di diritto paterno. Bachofen ipotizza dunque uno stadio di civiltà dominato da una società matrilineare vicina alla materia e ai fenomeni della vita naturale, dominata dalla fede, con un’inclinazione naturale verso il trascendente e verso ciò che si sottrae alla norma. La tradizione mitica diventa nella ricerca di Bachofen veicolo e autentica fonte storica di un’umanità che lega ogni forma di esistenza a concetti cultuali e si riconosce totalmente nel mondo delle sue divinità.
Il saggio di Benjamin intriso di elementi autobiografici è anche il tentativo di sottrarre Bachofen a interpretazioni irrazionalistiche come quelle di Bäumler del circolo di George, attraverso la rilettura del mito e del simbolo in termini dialettici.
La distanza temporale tra i due si riduce in un riconoscimento a distanza mediato dall’identificazione spontanea di Benjamin in alcuni tratti della personalità di Bachofen. L’estraneità dal mondo accademico e per contro un’attività scientifica dilettantistica sullo stile di Goethe, il rifiuto della filologia sono elementi concatenanti che evidenziano il rifiuto di Bachofen a quella tendenza positivista che isola le diverse discipline con la pretesa di approfondire le ricerche limitandone il campo. Lontane da una visione determinista, quelle “profezie rivolte al passato” attraggono Benjamin nel tentativo di riportare la natura in un equilibrio dialettico con la cultura, di salvarla cioè da una visione progressista della storia che la aliena dal Progresso. Ed è in questa direzione che Benjamin si oppone alle interpretazioni di Bachofen dei teorici della politica di destra che hanno posto in primo piano “le forze irrazionali nel loro significato metafisico e civico”. La destra della Bachofen-Renaissance riconosce nel mito l’annuncio di una redenzione. Il mito salva l’uomo dalla minaccia distruttiva della morte che in ogni presente, in ogni determinazione temporale, aggredisce la Vita lacerando la simultanea e globale universalità di materia nello spazio e nel tempo, restituendo “al reale e quindi all’uomo calato nel reale un precedente di “modi” che è oggettivamente vero” (F. Jesi).
Ma la morte, in Benjamin, non rimanda a una violenta distruzione: “il mondo antico considera la morte sempre in rapporto di un più o di un meno in confronto alla vita”. Di questo spirito dialettico Bachofen si fa portatore diventando agli occhi di Benjamin mediatore tra natura e storia. Bachofen dunque, viaggiatore solitario in un passato profetico che si incarna nei simboli dell’archeologia funeraria e Benjamin, il flâneur come colui che esita sulla soglia della modernità.
Per una rilettura del pensiero di Benjamin, un interessante strumento è offerto da Gérard Raulet, germanista e filosofo con il suo Le caractère destructeur.
La tesi centrale del saggio vuole evidenziare come lo sforzo di Benjamin, nei testi dell’esilio, sia stato quello di trasformare la “barbarie” già evidenziata in Expérience et pauvreté in strategia estetica, teologica, politica al tempo stesso, di tradurla cioè in “barbarie positiva”.
L’abolizione del soggetto e di qualsiasi forma di interiorità, l’impoverimento dell’esperienza che attraverso i nuovi media comporta la rinuncia e la distruzione delle forme estetiche tradizionali aprono per Benjamin nuove forme di espressione.
Ed è proprio con l’avvento della nuova era dell’“estetica dello choc”, che si impone un “risveglio”; qui germina per Benjamin il momento della decisione, l’attimo in cui si rende necessario diventare attivi. La riproduzione emancipa l’opera d’arte dall’estetica della contemplazione e la “fonda sulla politica”. In questo senso Benjamin richiede un’adesione totale alla “barbarie positiva”: questa infatti, nella sua dinamica distruttrice porta il mondo nuovo fino all’estremo della sua tendenza.
Quel carattere distruttivo che fa propria la barbarie dell’epoca, quella della modernità in generale e del fascismo nello specifico, diviene per Raulet gesto distruttivo nel momento in cui permette di passare da uno “stato onirico” al risveglio politico.
Dal saggio su L’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica alle tesi postume Sul concetto di storia passando dalla grande opera incompiuta che sono i Passages Parisiens, Gérard Raulet cerca di dar conto di questo tentativo attraverso un’analisi strettamente testuale.
Dei tre paradigmi che Raulet distingue nell’evoluzione del pensiero di Benjamin, quello estetico funge da istanza mediatrice tra quello teologico e quello politico. L’opera d’arte all’epoca della sua riproducibilità tecnica riveste infatti nel saggio un ruolo strategico proprio perché assicura la conversione dal teologico al politico. Il paradigma teologico non sparirà mai; è il più costante nelle differenti epoche dell’opera, mentre quello politico si rivela essere più complesso poiché riunisce le tre componenti del pensiero benjaminiano e ne rappresenta la realizzazione.
Credits: Daniela Donati
Magazine: Informazione Filosofica
Commissionato da Informazione Filosofica, rivista di filosofia, questo articolo è parte di una serie. Si tratta della recensione de Il viaggiatore e il flâneur, un prezioso volumetto del pensatore Walter Benjamin dedicato alla figura di Bachofen da cui emergono tratti della personalità di Benjamin stesso.
THE TRAVELLER
AND THE FLANEUR